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LA PELLICOLA INNANZITUTTO E’ PELLE: la percezione fotografica di Simone Durante.

Ancora corpo. O più precisamente, un’intensa e meravigliosa corporeità liquida e gassosa. Sembra di essere tornati a certe poetiche percezioni pellicolari francesi degli anni trenta (Jean Vigo); o a certe architettoniche atmosfere della grandiosa cinematografia russa (Dziga Vertov). Tutto si attraversa e si compenetra nello stesso liquido: il pensiero, il movimento percettivo, il gesto che fissa e afferra, lo sviluppo, la stampa.
Acqua eraclitea!
La filosofia nomade, da una parte, pensando il movimento e la vita, e dall’altra facendoli, insiste giustamente, oramai da qualche millennio, sempre e solo su una corda, al contempo, dolente e magnifica: “Cosa non può un corpo?” Questa la potenza e l’eleganza che si sprigiona dai costrutti chimici artigianali delle immagini di Simone Durante. Semplicità. Spinte, forze, intensità, posture, sguardi, architetture di muscoli e ossa, volti, sorrisi. Tutto all’insegna di una dominante universale: l’acqua.
Saremmo tentati di vedere la precipua rivelazione fotografica di Durante, al di là di ogni possibile figurazione, proprio nell’acqua. L’elemento per antonomasia del flusso. E il passo nella memoria e nella percezione è un battito di ciglia.
Sacrosanto e dissacrante, Gilles Deleuze ammoniva, memore straordinario della grande lezione bergsoniana, che non si da immagine fissa che non sia già movimento.
Ecco l’acqua. Non in quanto tema strettamente figurativo bensì, come elemento fondante stesso del processo fotografico. Un elemento essenziale che Durante svela, in tutta la sua macchinica processualità manuale, e non congela ma, che per contro, riesce a far scorrere, senza soluzione di continuità, dentro una difficile e complessa dimora: l’istante! E l’istante che, per sua stessa ontologia, ci ossessiona, lo si fissa, lo si brama, lo si afferra – raramente e con estrema goffaggine umana: l’arte! – si forma e si imprime liquidamente nella percezione. E con uno scatto, tra paura e desiderio, resta. Quale ironia della sorte parlare di congelamento dell’istante con le immagini di Durante!
Le sue immagini continuano a vibrare nell’acqua, e di un’acqua vestita di luce speciale. I corpi ora rosseggiano di vitalità, ricordando la stessa lava siciliana di Durante; ora verdeggiano come foglie, e intanto si consumano con gli elementi che toccano, marcendo della loro stessa bellezza; ora si eternano, come faraoni egiziani, nel brillante sonno dell’ocra. Durante ci conduce lontano e in profondità abissali: il nostro corpo e la nostra pelle. D’altronde, non aveva forse ragione il raffinatissimo poeta Paul Valery? “Cosa è più profondo della nostra pelle?” Così, come nelle più belle e misteriose pagine di Lewis Carroll – in profondità oceaniche, sotto la pelle, al di là dello specchio – Durante dà inizio al suo gioco di luce. I suoi corpi, i suoi volti, superbi e meravigliosi, si spogliano con i nostri sensi. Corpi marini…danzano, respirano, sorridono, sonnecchiano, seducono, viaggiano restando in posa, scorrono in bilico su un pensiero folleggiante, poi spiccano un volo fuori dal cadrage.
Eternità ed epifanie: tutto sott’acqua. E l’immagine, con un nobile passo marino, scansa per sempre il clichè cancerogeno. Allora la pelle lega ogni evento. E la pellicola, per Durante, innanzitutto è sempre pelle.
Con buona pace dei tecnofili e dei tecnofobi, qui la tecnica, etimologicamente, ritorna arte; mentre la grande arte se ne infischia sempre e altamente di ogni forma di schiavitù della tecnica in voga.

 

scritta dal regista e critico Mauro Aprile Zanetti.

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