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  • Milano Città Interna

    Il progetto Milano Città Interna nasce dalla volontà di Simone Durante di relazionarsi “alla pari” con un luogo fuoriscala, giocando fisicamente con la fotografia nel tentativo di riportare Milano a una dimensione più umana. Quasi una sorta di ironica riappacificazione con una città che, nelle parole dell’artista, “prima mi ha tolto tutto – il mare, la casa, il vulcano, la vicinanza delle persone care del paesino in Sicilia dove sono nato – ma che mi ha anche saputo dare tutto”. Un omaggio, dunque, ad entrambe le terre, quella lombarda e quella siciliana, che si sovrappongono tra loro in un cortocircuito di immagini, segni e colori, come forse è accaduto nei ricordi e nelle emozioni contrastanti di Simone. Il progetto riunisce, inoltre, due anime del suo lavoro: il reporter e l’artista. Come fotografo di reportage, Simone ripercorre, attraverso l’obiettivo, gli scorci e le strade in cui da ragazzo cercava armi contro la nostalgia. Come artista, interviene chimicamente sulla pellicola, modificando i colori durante il processo di stampa e trasportando gli ocra e i rossi infuocati della sua Sicilia sulla facciata milanese, con la stessa libertà di un pittore. In una città fortemente dilatata nella quale è facile sentirsi smarriti, l’intervento artistico sulle fotografie aiuta ad affermare la propria presenza, dando vita a una Milano un po’ più a misura di Simone.

    Annalisa Bergo, responsabile curatela Spirito Italiano e Fabbrica Borroni.

  • La percezione fotografica di Simone Durante

    LA PELLICOLA INNANZITUTTO E’ PELLE: la percezione fotografica di Simone Durante.

    Ancora corpo. O più precisamente, un’intensa e meravigliosa corporeità liquida e gassosa. Sembra di essere tornati a certe poetiche percezioni pellicolari francesi degli anni trenta (Jean Vigo); o a certe architettoniche atmosfere della grandiosa cinematografia russa (Dziga Vertov). Tutto si attraversa e si compenetra nello stesso liquido: il pensiero, il movimento percettivo, il gesto che fissa e afferra, lo sviluppo, la stampa.
    Acqua eraclitea!
    La filosofia nomade, da una parte, pensando il movimento e la vita, e dall’altra facendoli, insiste giustamente, oramai da qualche millennio, sempre e solo su una corda, al contempo, dolente e magnifica: “Cosa non può un corpo?” Questa la potenza e l’eleganza che si sprigiona dai costrutti chimici artigianali delle immagini di Simone Durante. Semplicità. Spinte, forze, intensità, posture, sguardi, architetture di muscoli e ossa, volti, sorrisi. Tutto all’insegna di una dominante universale: l’acqua.
    Saremmo tentati di vedere la precipua rivelazione fotografica di Durante, al di là di ogni possibile figurazione, proprio nell’acqua. L’elemento per antonomasia del flusso. E il passo nella memoria e nella percezione è un battito di ciglia.
    Sacrosanto e dissacrante, Gilles Deleuze ammoniva, memore straordinario della grande lezione bergsoniana, che non si da immagine fissa che non sia già movimento.
    Ecco l’acqua. Non in quanto tema strettamente figurativo bensì, come elemento fondante stesso del processo fotografico. Un elemento essenziale che Durante svela, in tutta la sua macchinica processualità manuale, e non congela ma, che per contro, riesce a far scorrere, senza soluzione di continuità, dentro una difficile e complessa dimora: l’istante! E l’istante che, per sua stessa ontologia, ci ossessiona, lo si fissa, lo si brama, lo si afferra – raramente e con estrema goffaggine umana: l’arte! – si forma e si imprime liquidamente nella percezione. E con uno scatto, tra paura e desiderio, resta. Quale ironia della sorte parlare di congelamento dell’istante con le immagini di Durante!
    Le sue immagini continuano a vibrare nell’acqua, e di un’acqua vestita di luce speciale. I corpi ora rosseggiano di vitalità, ricordando la stessa lava siciliana di Durante; ora verdeggiano come foglie, e intanto si consumano con gli elementi che toccano, marcendo della loro stessa bellezza; ora si eternano, come faraoni egiziani, nel brillante sonno dell’ocra. Durante ci conduce lontano e in profondità abissali: il nostro corpo e la nostra pelle. D’altronde, non aveva forse ragione il raffinatissimo poeta Paul Valery? “Cosa è più profondo della nostra pelle?” Così, come nelle più belle e misteriose pagine di Lewis Carroll – in profondità oceaniche, sotto la pelle, al di là dello specchio – Durante dà inizio al suo gioco di luce. I suoi corpi, i suoi volti, superbi e meravigliosi, si spogliano con i nostri sensi. Corpi marini…danzano, respirano, sorridono, sonnecchiano, seducono, viaggiano restando in posa, scorrono in bilico su un pensiero folleggiante, poi spiccano un volo fuori dal cadrage.
    Eternità ed epifanie: tutto sott’acqua. E l’immagine, con un nobile passo marino, scansa per sempre il clichè cancerogeno. Allora la pelle lega ogni evento. E la pellicola, per Durante, innanzitutto è sempre pelle.
    Con buona pace dei tecnofili e dei tecnofobi, qui la tecnica, etimologicamente, ritorna arte; mentre la grande arte se ne infischia sempre e altamente di ogni forma di schiavitù della tecnica in voga.

     

    scritta dal regista e critico Mauro Aprile Zanetti.

  • A proposito di Simone Durante

    “Io non sono un artista, io sono un fotografo”. Così Simone si è definito tempo fa durante una discussione sulla definizione dei ruoli.
    Simone sperimenta, fa suo il linguaggio del reportage e poi, non accontentandosi, usa la macchina fotografica come una scatola di acquarelli, muovendola, danzandoci insieme, dando vita a figure leggere e mondi irreali. Simone usa il proprio cuore prima dell’obiettivo, si diverte a fermare attimi di realtà paradossale, prende dal mondo il buono e l’ironico per mostrarlo agli altri. Le sue foto non sono mai immagini rubate con violenza, ma una ricerca visiva che prima di tutto è una necessità umana, un tentativo di stabilire un contatto, una crescita interiore prima che professionale. Se questo non fa di lui un artista, allora dirò: per fortuna che Simone è un fotografo.
    Annalisa Bergo, responsabile curatela Spirito Italiano e Fabbrica Borroni.

  • Salone Del Mobile 2013

    “Simone Durante al Salone del Mobile. Una mostra fotografica e un video ne registrano alcune delle sue sperimentazioni sulla pellicola fotografica trattata con acidi minerali in fase di sviluppo nella camera oscura. Ricordo 15 anni fa – il digitale non aveva creato ancora masse di scimpanzè pigiatori di pulsanti, sedicenti fotografi, cioè a dire per la più parte produttori di spazzatura visiva – in una redazione di Milano, presentando le sue sperimentazioni di sottrazioni alchemiche – volti e corpi di modelle e scorci strappati al paesaggio – alla direttrice di uno storico magazine del momento con tanto di riverbero su finestra televisiva: “ma queste cose si possono fare in photoshop”. Uscimmo sulla strada, pellicole alla mano, poco più che ventenni; e ci siamo rimasti ricordando Stan Brackage sulla pelle e la logica della sensazione che rende visibile. La signora invece andò a dirigere un museo sul contemporaneo in città, nato morto come un feto di memoria uzediana da mettere sotto boccia. Ho sempre preferito le olive sotto sale!”

    scritta dal regista e critico Mauro Aprile Zanetti.

  • Simone Durante non è fotografo per caso.

    Simone Durante non è fotografo per caso. Dietro ogni sua foto c’è una ricerca che è frutto di feroce curiosità e di immensa pietà. La curiosità fa la differenza fra l’arte e la casualità. Tutti possiamo fare qualcosa di buono con un pennello o una macchina fotografica. E’ ripetersi che è difficile. Ci si ripete solo quando c’è consapevolezza di ciò che stiamo facendo, quando c’è ricerca e curiosità, appunto. Della pietà si sa poco, probabilmente è un sentimento antico, sicuramente è scomodo e pesa come un macigno. Simone la conosce e la rispolvera senza esitazione ogni volta che c’è da fare click, come fa il buon giudice prima di emettere la sentenza. Perchè una foto è una condanna, ti immobilizza per sempre, sono vertigini di eternità che è bene elargire con parsimonia.

    Scritta dal regista Giacomo Faenza.

  • Spirito Italiano atto IV

    Spirito Italiano atto IV

    Immaginiamo di poter indossare un paio di occhiali dalle speciali lenti, magari che possano scomporre i raggi solari come fossero un prisma, immaginiamo che quei nuovi colori possano sovrapporsi a quelli della realtà così come la conosciamo. Forse è questo che deve aver pensato Simone Durante quando, vent’anni fa, ha lasciato il suo paese in Sicilia per trasferirsi a Milano, città in cui ogni cosa appare moltiplicata come in una casa degli specchi urbana. Il progetto “Milano Città Interna” nasce dalla volontà di relazionarsi “alla pari” con un luogo fuoriscala, giocando fisicamente con la fotografia nel tentativo di riportare Milano ad una dimensione più umana. Quasi una sorta di ironica riappacificazione con una città che, nelle parole dell’artista, “prima mi ha tolto tutto – il mare, la casa, il vulcano, la vicinanza dellepersone care del paesino in Sicilia dove sono nato – ma che mi ha anche saputo dare tutto”. Un omaggio, dunque, ad entrambe le terre, quella lombarda e quella siciliana, che si sovrappongono tra loro in un cortocircuito di immagini, segni e colori, come forse è accaduto nei ricordi e nelle emozioni contrastanti dell’artista. Il lavoro si divide in due momenti, uno per così dire “all’esterno”, in cui Simone ripercorre attraverso l’obiettivo gli scorci e le strade in cui cercava silenzio e conforto ed uno all’interno della camera oscura, durante il quale interviene direttamente nel processo di stampa. Le foto scattate in analogico su pellicola da 35 mm, sono sviluppate con un normale processo per pellicola a colori. A questo punto, si inserisce l’intervento diretto dell’artista che immerge i negativi in un bagno ottenuto da un mix di acidi autoprodotto, consentendo il distaccamento della gelatina dal supporto e l’alterazione dei colori. Successivamente, dopo aver nuovamente fissato la gelatina, Simone può tornare sull’immagine incidendola con punte e graffi. Attraverso questa particolare tecnica, Simone può trasportare i colori della sua Sicilia all’interno di Milano con la stessa libertà di un pittore. Gli ocra, i rossi incendiano le facciate degli edifici, gli azzurri e il verde acqua si allargano come un liquido sulle guglie del Duomo o sulle anonime persone ignare in attesa alla stazione, restituendo vita e movimento alle immagini statiche, vibranti sotto una luce nuova. Colori e luci in cui si riflettono sagome di palazzi e monumenti talmente alti che quasi, si potrebbe pensare, le loro ombre possano coprire la distanza fino al mare di Sicilia. Simone aggira il sentimento di nostalgia, trasformando una città “sbilanciante” in una cartolina. Nell’immagine dove tutto, fluidamente si compenetra, i graffi sono, invece, l’elemento di reale disturbo, un segno netto e quasi violento. In una città fortemente dilatata, in cui in un palazzo puoi trovare lo stesso numero di abitanti di un intero paesino, è facile sentirsi smarriti; allora l’intervento da artista sulle fotografie aiuta ad affermare la propria presenza, ogni colore, ogni incisione significa “io ci sono”, andando a dar vita ad una Milano un po’ più a misura di Simone.

    Annalisa Bergo, responsabile Spirito Italiano e Fabbrica Borroni.